L'esperienza dei corsi di italiano in cucina

Esperienza di una docente di italiano  dei Centri di Formazione Fleming

(trascrizione dell'intervento di una docente al Convegno "Profughi e rifugiati a Milano accoglienza e percorsi di integrazione", 21 novembre 2014)


Sono una docente di italiano della sede di via Fleming, del Settore Lavoro e Formazione del Comune di Milano. Dei servizi che offriamo, presento quelli rivolti ai migranti: sono dei  progetti di insegnamento della lingua, dei corsi di italiano in laboratorio, organizzati in collaborazione con il Servizio per Adulti “Politiche per l’Immigrazione”.

 

Il Centro di Via Fleming è in questo settore da circa una decina di anni. Per darvi un’idea del numero delle persone seguite, dal 2008 ad oggi sono circa un migliaio le persone che hanno frequentato i nostri corsi: 150 nei corsi professionalizzanti di riqualificazione per il lavoro e circa 800 nei corsi di italiano per stranieri. 

 

Durante il mio intervento  vi mostro un video sul lavoro pratico che facciamo. È un percorso che dura da molti anni e che si è andato a costruire via via nel tempo.

 

Come hanno evidenziato Margherita e Luca, anche noi abbiamo trovato sulla nostra strada dei blocchi nell’apprendimento: persone che iniziavano e poi sparivano, oppure persone annoiate o che comunque non erano interessate ecc..

 

Al centro Fleming veniamo tutti da un’impostazione molto classica e il lavoro con queste persone ci ha fatto capire che dovevamo prima di tutto metterci in gioco  e porre  al centro i loro bisogni.  Il bisogno primario che esprimevano era relativo al LAVORO, un lavoro per il sostentamento e un lavoro per una nuova definizione di se stessi.  Abbiamo quindi messo a disposizione quello che avevamo nella nostra sede: un patrimonio molto ricco e importante di laboratori.  Abbiamo dei laboratori di sartoria, di giardinaggio, di cucina, di elettricità  ecc… che abbiamo pensato di usare  come palestra per  l'apprendimento della lingua e allenamento verso un lavoro futuro.

 

Per realizzare questo abbiamo attivato una collaborazione con i centri di accoglienza che ci inviavano le persone. Tanto più è diventata fitta la rete, intenso il rapporto tra di noi, tanto più siamo riusciti ad organizzare delle buone cose, dei buoni percorsi.

 

Il primo tentativo è stato con le donne ospiti presso il centro di via Sammartini a cui abbiamo proposto un corso di orientamento al lavoro basato sui laboratori di lavanderia, bar, cucina ecc” . Gli osservabili importanti per noi erano la manualità fina, la manualità grossa, la capacità di stare  in relazione, la tenuta lavorativa, la capacità di collaborare, l'attitudine ecc..

 

L'insegnamento della lingua in questi contesti ha poco a che fare con i testi tradizionali ma parte principalmente da una riflessione sulla terminologia tecnica che viene usata in laboratorio.

In cucina il cuoco dice raramente “pulisci”, usa “monda” per le verdure, “igienizza” un piano di lavoro, “sanifica” uno spazio. L'indice  grammaticale deriva dalle differenti necessità che abbiamo davanti: se dobbiamo raccontare una ricetta avremo bisogno del presente o del passato, se dobbiamo metterci alla prova come chef dovremo dare degli ordini correttamente e allora useremo l'imperativo e così via.

Pur tenendo sempre in conto una gradualità delle difficoltà, il filo che seguiamo non è più l'indice di un manuale ma la combinazione di quello che viene fatto nei laboratori e gli obiettivi a cui vogliamo arrivare. L'obiettivo è spesso arrivare ad una presentazione lavorativa: vuol dire sapersi presentare e raccontare quello che si è fatto e quello che si sa fare.

Il laboratorio di competenze trasversali è l'ultimo inserito nei nostri percorsi ma è diventato fondamentale proprio perché centra il lavoro sulla consapevolezza e sulla conoscenza della sfera del sé.

Concetto come “punti di forza” e “punti di debolezza”, sostantivi come “rigidità” e “flessibilità, verbi come “relazionarsi”, non sono patrimonio comune di tutte le culture, magari non nello stesso modo in cui lo sono nella nostra. La differenza crea però quel solco di diversità e quel muro di incomprensione che rende il nostro mondo del lavoro inaccessibile o perlomeno accessibile solo ai livelli più bassi da chi non possiede quei parametri.

Il lavoro che si va a fare è proprio quello di trasmettere per far conoscere affinché ci si appropri di vocaboli che sono lessemi di una grammatica della consapevolezza, del sé e dell'ambiente intorno a sé, per iniziare a riflettere su se stessi con modalità generalmente nuove per lo straniero, ma che diventano indispensabili in un mondo del lavoro, articolato e complesso, come il nostro.

Nominare un concetto, una sensazione, una qualità, vuol dire capirla, appropriarsene, cercarla dentro di sé e saperla magari spendere. “saper gestire una relazione” vuol dire essere in grado di stare in un ambiente di lavoro e saper lavorare con altre persone.

“Gestire le proprie emozioni” vuol dire riuscire a sostenere un colloquio di lavoro, sapersi presentare e comportarsi in modo adeguato.


 

Ciò che siamo riusciti a creare, insieme alla rete, e questa dimensione di estrema concretezza che proponiamo ai nostri corsisti in alternativa allo stato di stand-by e di perenne attesa che purtroppo caratterizza la loro vita : attesa per i documenti, attesa per il lavoro, attesa della risposta alla loro domanda di asilo … Questo ritmo diverso, concreto, pratico, questa nuova riflessione su di sé, li rende più vitali e gli dà una sferzata di energia.

Yemane, il ragazzo che nel video prova la sua presentazione, raccontava all'operatrice del centro che lo seguiva che dopo il corso lui si percepiva come un futuro lavoratore. Credo che più di tante parole, il senso di quello che facciamo sta in questo.

 

 

 

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